Il nostro paese è fortemente esterofilo: “se è straniero allora è buona cosa”, diciamo spesso senza renderci conto che due volte su tre l’abbiamo in casa (magari fatto meglio…).
La letteratura ufficiale ritiene che il cohousing sia invenzione moderna nata nell’Europa e nell’America del Nord (https://it.wikipedia.org/wiki/Cohousing), in realtà le “coabitazioni” sono il sistema abitativo connaturato nel DNA umano sin dalla preistoria, un modello che è sopravvissuto sino a noi e riscontrabile in tutto il mondo (villaggio, circoscrizione, quartiere, cantone…).
La comunità familiare costituisce, quindi, l’unità biologica attraverso la quale l’insediamento ha preso forma; essa si fonda su un nucleo compatto la cui forza risiede nella mutua assistenza che i membri del lignaggio si offrono spontaneamente, pratica che è maturata e si è mantenuta saldamente soprattutto nelle regioni di insediamento sparso” (Dal territorio alla forma architettonica: aspetti tipologici e modelli ricorrenti nel biellese montano, C. Natoli, Il Mortigliengo fra XVI e XIX secolo, a cura di C. Bonardi e C. Natoli, Biella, 2005, p. 32)
Come sono nati le frazioni e i cantoni?
Dal centro, dove si collocano gli organi amministrativi, politici e religiosi di coordinamento centrali (il paese vero e proprio), si sono via via originati, per iniziativa famigliare, altri nuclei abitativi più piccoli, sorti liberamente nel territorio di competenza amministrativa del centro più grande seguendo la morfologia e le opportunità ambientali (sistema cantonale).
Queste nuove fondazioni, nella nostra area chiamati “cantoni” (o “frazioni”), si generavano di norma grazie ad un’iniziativa famigliare; il primo nucleo si insediava costruendo una casa, il punto di riferimento della struttura successiva del cantone, nel tempo si allargava con la crescita delle relazioni famigliari.
Il sistema era semplice (sempre lo stesso): una casa principale, una corte centrale (spazio privato e pubblico al contempo), fulcro sociale e geometrico dell’abitato, a seguire le altre abitazioni e i servizi in comune (forno, corte, pozzo, comunaglie – campi e boschi ad uso comune -, torchio, frantoio, oratorio, strade vicinali…). In “comune” lo spazio abitativo, i servizi e la scansione dei tempi della vita: era una “comunità” che viveva insieme i momenti importanti (sociali, economici, religiosi, culturali) per condividere, per ottimizzare le risorse e per favorire il processo di crescita e di sviluppo armonico del territorio e dei suoi abitanti.
Possiamo, quindi, affermare che il cohousing non è nulla di nuovo sul fronte occidentale, è un ritorno alla nostra tradizione.
Dopo il travagliato periodo di distruzione del sistema della comunità tradizionale, iniziato negli anni ’50 del secolo scorso e sfociato nel disastro della grande crisi della società liquida (Z. Baumann http://www.treccani.it/vocabolario/societa-liquida_%28Neologismi%29/), si sta piano piano ritornando alle “origini” per ricostruire la comunità e le sue relazioni umane, sociali, economiche e culturali viste come ricchezza e valore essenziale per una vita migliore e per riattivare i “paracaduti sociali” direttamente gestiti dai cittadini.
B.Saccagno
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